L’attualità di Jung e della psicologia analitica, a cura di Giulia Valerio

L’attualità di Jung e della psicologia analitica

La scuola Li.S.T.A. offre una formazione psicoterapeutica nell’ambito della Psicologia Analitica, fondata sul pensiero e la prassi di C.G. Jung, con particolare riferimento alla teoria dei complessi, degli archetipi, dell’inconscio collettivo e del processo di individuazione attraverso i seguenti percorsi di studio: Scuola Quadriennale di Psicoterapia, Corso Triennale per Psichiatri, Corso Biennale di Etnopsicoterapia e Corso Biennale Sandplay Therapy.

A fianco di queste linee, la Li.S.T.A. ha tra i suoi primari obiettivi quello di rimanere costantemente aperta alla conoscenza e alla valutazione dei modelli terapeutici, studiati e approfonditi nella loro prassi e nelle loro ricadute cliniche. Una delle caratteristiche fondamentali della scuola è quella di aprirsi, pur partendo dall’epistemologia junghiana, anche a sguardi, letture, ricerche, insegnamenti e visioni psicoanalitiche di altre scuole e indirizzi.

La sede è aperta e ha spazi di convivialità, per facilitare la coesione e la collaborazione tra gli allievi e agevolare chi viene da altre città.

L’attualità di Jung ci sorprende ancora oggi, soprattutto nell’osservare alcuni fondamenti del suo pensiero spesso trascurati, se non addirittura ignorati. Jung ha fama di essersi occupato soprattutto della dimensione interiore e di spiritualità, tanto da essere tacciato a volte di eccessivo misticismo a scapito di altre dimensioni.

La sua visione del profondo si accompagna invece a un aspetto molto prezioso, per un attento e differenziato studio delle relazioni. Analisi dei sogni e Visioni, seminari tenuti dal 1928 al 30 e dal 1930 al 34 a Zurigo, sono i testi che analizzano i rapporti di coppia in modo non collettivo, insolito e raffinato, rispettandone e evidenziandone l’importanza decisiva per il processo individuativo.

Il seminario sui sogni narra parte del trattamento di un signore della buona borghesia di Zurigo, che si rivolse a Jung perché un po’ scontento della sua vita senza riconoscerne il perché (sindrome molto moderna e diffusa): giunto alla metà della vita, era come se “alle vele fosse mancato il vento”; si lamentava peraltro del suo matrimonio, ritenuto poco soddisfacente. Jung condurrà l’analisi tenendo in costante considerazione la dimensione della coppia, che costituisce un’osmosi e una reciprocità a più livelli, che non si può mai tralasciare. Il travaglio amoroso della paziente delle Visioni viene considerato una importante questione etica e una occasione trasformativa, perché “se il destino è benevolo, ci caccia presto nei guai”, per promuovere la sintesi della personalità, che riconcilia le coppie di opposti che ci abitano.

Il “tu” per Jung è fondamentale: senza la presenza di un “tu” in carne ed ossa nessun compimento della personalità è possibile, in quanto offre rispecchiamento e rifrazione delle nostre parti interiori. È questo un aspetto della clinica junghiana non molto sottolineato, che invece nella scuola Li.S.T.A. teniamo molto a studiare e ad approfondire.

Accanto a questo tema, sono di grande importanza e attualità gli scritti sugli stadi della vita, sulle età dell’uomo e della donna, studi tra l’altro ricchissimi di notazioni anche spiritose e talvolta disincantate su come si cresce e si muta. All’ascesa segue una discesa, alle sistole succedono le diastole: ogni momento è straordinariamente prezioso. L’esperienza della seconda metà della vita offre un equilibrio alla forza che si sviluppa in gioventù, ed è necessario vivere pienamente ogni età. Viene sottolineato per esempio come sia facile criticare un giovane un po’ senile, atteggiato ad anziano, mentre di solito viene scusato (se non ammirato) un settantenne che desidera mantenersi giovanile: di fatto, per Jung, si tratta soltanto di una “mummia spirituale”: ogni età dovrebbe avere il coraggio di approfondire i movimenti che la caratterizzano. Anche la Psicologia del transfert riprende questi temi, entrando nel vivo della relazione tra analista e paziente, tra due persone che si incontrano quando le loro anime si toccano e complicano i giochi, rivoluzionando le prospettive. Lettura che si comprende meglio quando si è innamorati…

Altro tema che la Scuola Li.S.T.A. tiene in ampia considerazione è quello della “tipologia”. Tipi Psicologici è il testo junghiano più apprezzato dai neuroscienziati e dai fisici, perché concorda con le teorie della relatività e delle scoperte della fisica quantistica. A partire dall’esperienza, Jung osserva otto principali modi di conoscere la realtà e l’inconscio, tra loro diversi e allo stesso tempo pari per valore ed efficacia: un approccio che garantisce la democrazia della terapia e la non prevaricazione di un modello prestabilito cui doversi adeguare.  Per esempio, spesso si tende a sopravvalutare le funzioni di “pensiero” e di “intuizione” perché reputate più intelligenti o brillanti; le funzioni di “sensazione” e di “sentimento” vengono riconosciute come altrettanto fondamentali. Ciò implica che come terapeuti non possiamo sapere cosa sia meglio per il nostro paziente, perché è diverso da noi; siamo invitati ad un lavoro di osservazione, di sperimentazione, di attenzione e di valutazione di qualità profondamente umane e non di protocolli, tecniche e strumenti collettivi. È un modo di essere che cerchiamo di vivere e di attuare anche nelle attività della nostra scuola.

Un sistema di cura capace di considerare l’alterità come avente pari diritto e valore, nel rispetto delle rispettive caratteristiche, impedisce di correggere l’altro, di supporre che sia uguale a noi e quindi, come scrive Jung, di violentarlo psicologicamente. Si crea così una relazione complessa, ma soprattutto reciproca, perché soltanto della reciprocità, afferma, è possibile curare ferite e traumi: la centralità della terapia non si fonda tanto sull’abreazione ma sulla presa in carico della dissociabilità della psiche, che può avvenire solo tra due soggetti che hanno stretto alleanza. Il terapeuta non è l’esperto che sa più dell’altro (a proposito di lui stesso peraltro), ma colui che possiede la personalità in grado di reggere maggiormente, di avere forti braccia per contenere i frammenti, i dolori, le difficoltà della vita e i disordini psichici.

In un’intervista Jung racconta la difficoltà del lavoro del terapeuta, quando si trova improvvisamente immerso in un’atmosfera intima con il paziente, che gli confida e affida cose straordinariamente importanti, segrete, penose. Viene coinvolto fin dall’inizio in una prossimità talvolta imbarazzante, e invitato ad assumere il ruolo delle grandi autorità, non tanto dei genitori ma degli archetipi genitoriali. Più volte porta ad esempio il sogno di una paziente laureata in filosofia, donna intelligentissima, che vede in Jung non soltanto un padre, ma il grande padre divino. Sogna di essere piccolina, sulle sue ginocchia mentre lui la conforta e la abbraccia. Jung lavora (come sempre, in modo magistrale) per differenziarsi dalla proiezione: non è lui che la sorregge, normale uomo in carne ed ossa. Ma per la paziente è quel padre potente, quasi onnipotente, anche se razionalmente si rende conto della differenza: per lei è così e non può farci nulla; la relazione diviene sempre più difficile. 

Ricevere una forte proiezione è pericoloso perché si rischia di crederci e di inflazionarsi, ed è  molto difficile tenere una posizione centrata ed accogliente, in questi casi. Ad un certo punto la paziente ebbe un sogno: Jung gigante in un meraviglioso campo di grano la tiene in braccio, mentre ondeggia cullandola; il vento accarezza le messi e il grano è maturo, pronto per il raccolto. L’interpretazione è sorprendente: la donna è alla ricerca della divinità della natura, dello spirito che anima la natura, non il Dio padre, ma qualcosa di più antico e potente. Poiché nella sua esistenza non lo trova, lo ha proiettato sul suo terapeuta.  È bastato diglielo e qualcosa a fatto click, e la paziente ha riconosciuto la potenza e la necessità di questo archetipo. 

Altro tema di grande attualità, più volte affrontato e sottolineato nelle opere, è la necessità di risanare il pianeta e la natura. Nel seminario sulle Visioni Jung afferma di privilegiare sempre ogni interpretazione che ha cura della terra, non per ideologia, ma perché è la parte più offesa. Bisogna sempre partire dalla pietra di scarto, dalla parte ferita e fragile. Da molti nostri allievi, nei colloqui di ammissione, emerge oggi la passione per il camminare. Camminare è ristrutturare le ferite della terra, rimagliare tanti sentieri insanguinati. Entrare nella psiche con passo di pellegrino è già un grande atto terapeutico.

La psicologia analitica, infine, è per molti di noi pietra miliare nella cura dei migranti. L’etnoclinica, a cui dedichiamo un settore della didattica, è diventato impegno imprescindibile. Anche in questo settore la clinica junghiana offre strumenti e riflessioni di grande interesse. In un testo del 1939, per esempio, (nel pieno delle leggi razziali) Jung racconta la cura di una donna ebrea, divenuta atea, sofferente per terribili crisi di panico, preda di una “paura abissale”. La terapia consisterà nel riconnetterla alla sua genealogia, alla tradizione da cui si era distaccata e al nonno, rabbino mistico e veggente: perché nessuno può tradire le proprie origini perdendo radici e sorgenti.

Jung è il grande terapeuta delle connessioni e delle ri-connessioni. Lo dimostrano tra l’altro le sue ricerche nel campo dell’alchimia, che approfondisce come l’essere umano vibri in consonanza con animali, con piante, pianeti del cielo e metalli nascosti nel sottosuolo, come microcosmo e macrocosmo siano interconnessi. La sua clinica propone un modello complesso, nemico di ogni semplificazione e unilateralità, che vuole riconnettere le reti e ricomporre tutte le smagliature possibili. 

Altro dato che ci colpisce sempre è come Jung abbia mantenuto viva la sua ricerca nel tempo delle due guerre mondiali, nel terribile “secolo breve” ormai trascorso. Gli scritti sulla società in transizione sono tuttora attuali (il suo sguardo sulla storia è interessantissimo, e profetico), e ci donano l’esempio di come si possa rimanere centrati, fedeli al proprio processo individuativo, anche nei tempi del grande disordine, qualunque siano le circostanze intorno a noi. Noi abbiamo il desiderio di osservarle e comprenderle, ma anche il compito di rimanere centrati, ispirati da uno sguardo che riesca a rimanere al di là della superficie ondosa della storia presente, senza cadere preda degli allarmi e delle falsificazioni da cui veniamo quotidianamente bombardati, per coglierne i disegni e le trame profonde, gli archetipi in movimento. 

 

Giulia Valerio, responsabile Scuola Li.S.T.A.

28 Marzo 2024 © Scuola LI.S.T.A. Circolo di via Podgora | Via Illirico 18 20133 MILANO +39 02 39834097 | +39 345 8564612 | P.I. 03688930969 | Privacy & Cookie