Archivio 2023|2024
La psicologia del profondo riconosce ai sogni una funzione importantissima: sono guida e rivelazione, accompagnano la vita diurna arricchendola di altre prospettive e significati, di quella antica saggezza che vive nel cuore e nella psiche collettiva. Il loro linguaggio è molto lontano da quello della coscienza, perché appartiene a un ordine inverso e a un’altra forma di coscienza: si esprimono per simboli, sono ricchi di motivi mitologici, raccolgono il passato e il futuro. Il seminario vuole affrontare in ogni incontro un aspetto del sogno, sia dal punto di vista teorico che da quello della prassi clinica, svolgendosi anche in maniera laboratoriale e condivisa.
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Che cosa significa essere terapeuti, ed esserlo nella pratica della psicologia del profondo? Il tema, appassionante e controverso, ci interroga quotidianamente nella nostra prassi e nelle nostre relazioni: il corso vuole affrontarlo per snodi tematici, attraverso letture di testi di Jung e von Franz, di cui verranno offerti testi e riferimenti bibliografici. Parte degli incontri sarà dedicata a casi clinici ed esperienze attraversate.
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L’essere umano sta di fronte alla natura, come la nostra coscienza di fronte al sogno. La tendenza a differenziarsi dal resto della natura, che ci ha caratterizzato, sembra aver seguito un’evoluzione simile a quella che ha percorso l’Io, nel differenziarsi dall’inconscio. Ma c’è un momento in cui la coscienza riposa e si parla un’altra lingua, quella dell’inconscio. È il tempo dei sogni. Jung scrive in Ricordi, sogni, riflessioni, “Secondo me i sogni sono natura, che non ha intenzioni ingannatrici, ma esprime qualcosa come meglio può, così come una pianta cresce o un animale cerca il suo cibo come meglio possono. Così anche gli occhi non vogliono ingannare, ma forse ci inganniamo perché gli occhi sono miopi. Oppure, sentiamo male perché le nostre orecchie sono piuttosto sorde, ma non sono le orecchie che vogliono ingannarci.” I sogni sono natura e si esprimono nel suo linguaggio. Se inconscio e natura hanno la stessa essenza, lo studio della natura può servire a comprendere i sogni e viceversa. Diventa quindi importante riconsiderare la posizione dell’Io nei confronti dell’inconscio nel quale naviga, così come quella dell’essere umano nei confronti della natura di cui è parte.
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Qualcuno, in un certo momento della vita, ci ha inferto una ferita, che ha causato in noi una serie di conseguenze, di fragilità e di dolore. Possiamo lamentarci e piangere, e avremmo tutti i motivi per farlo. Ma la ferita è come un attrattore di Lorenz, genera caos e rovescia l’ordine consueto della psiche. Rumi, poeta iraniano del XIII secolo, ci dice che la ferita è un’apertura attraverso cui la luce entra dentro di noi. Uno sguardo profondo sulla ferita può rovesciare il senso della vita e perfino la freccia del tempo. Causa ed effetto possono attuarsi nel medesimo istante, o forse l’effetto arrivare prima della causa. Il destino era già presente all’inizio della nostra esistenza? E se fosse così, a cosa servirebbe attraversare il tempo della vita?
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In forma di dialogo, il corso si concentrerà sulla relazione analitica vista come opera viva e creativa, plasticamente aperta alla dimensione estetica e trasformativa, attraversando registri clinici, terapeutici e visioni complesse di cura in cui troveranno spazio arte, linguaggio poetico, apertura e dialogo tra psicologia junghiana e altri modelli teorici.
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Il seminario si propone di avviare tra i partecipanti una riflessione sulla pratica terapeutica attraverso la lettura e il commento del testo di James Hillmann Il mito dell’analisi, partendo dalle aree tematiche e dalle figure trattate dall’autore: malattia, cura, anima, psiche, eros, traslazione, parola, immagini, mito, creazione, femminilità psicologica, coscienza dionisiaca, la fine e il fine dell’analisi.
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Fondamento teorico che descrive la personalità e la psiche in una concezione sistemica e dissociabile, il complesso è pure un fondamento strutturale, la via regia all’inconscio. Jung specifica la nozione di complesso come “insieme di rappresentazioni, immagini e idee aggregate attorno ad una tonalità affettiva” in rapporto alle nostre emozioni e affetti ed anche come “unità vivente della psiche inconscia” in relazione al nucleo archetipico. Descrive l’azione perturbatrice e l’influenza dei complessi sull’Io e sulla coscienza sia come “parti dotate di una certa autonomia”, sia come “personalità parziali”. Infine, i complessi appaiono spesso personificati nelle immagini oniriche. Riconoscere nel lavoro terapeutico la complessità e l’intreccio di questi fenomeni e aspetti, può orientare paziente e terapeuta alla comprensione delle trame complessuali e alla loro qualità.
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Incontrando l’Alchimia, Jung riconosce il fondamento “storico” della sua psicologia analitica. Ne riconosce le concordanze considerando i processi degli alchimisti come proiezione sulla materia di processi psichici; uno spazio e un tempo dove psiche e materia erano senza soluzione di continuità. Jung passerà molti anni a studiare antichi scritti anche molto criptici, così come farà, su suo invito, la sua allieva M.-L. von Franz. Partiremo da alcuni termini tra i più ricorrenti del vocabolario alchemico per comprenderli alla luce della psicologia analitica per poi introdurre alcune letture alchemiche di diverse culture.
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“L’angoscia aspira alla cultura […] il senso rende quasi tutto sopportabile”, scrive Jung. Per Joseph Campbell l’elemento distintivo della specie umana che sta alla base del grande impulso creativo verso la mitologia come di ogni costruzione del senso è “la percezione dell’individuo come conscio di sé e consapevole del fatto che lui stesso, come tutto ciò che gli è caro, è destinato a morire”. Partendo dalle riflessioni freudiane sulla caducità della vita e sull’elaborazione del lutto, vogliamo affrontare il tema della morte all’interno della psicologia analitica di Jung come evento archetipico di radicale e vitale importanza, capace di portare la psiche sul confine, confrontandola con il limite, con la fine.
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Da un lato, dialogare attraverso l’Animus: in questo caso la donna, nel produrre idee, convinzioni, pensieri, non passa attraverso il principio femminile che le è proprio, bensì attraverso l’Animus, una figura dell’inconscio. E dall’altro, “dialogare con”, nel senso di mettersi in una relazione di confronto e di reciproco scambio: il femminile si mette in dialogo con il maschile, essendo ora alla guida, ora facendosi guidare e talvolta andando gioiosamente a braccetto. Anche quando a condurre è l’Animus, se il dialogo è un confronto, il femminile veglia, come stella polare che al calar del sole orienta i marinai. Attraverso sogni, poesie, testi letterari e testimonianze storiche si cercherà di varcare il confine tra il dialogare per mezzo di una potente figura inconscia e il mettersi in dialogo con un Animus allenato al confronto.
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