I Moduli Didattici 2022-23

Devereux è considerato il padre della etnopsichiatria moderna, dopo il lungo periodo coloniale in cui questa disciplina è stata attraversata da grandi contraddizioni. Tobie Nathan è il primo e principale interprete di un pensiero e di una pratica clinica nuova che affonda le radici nelle intuizioni del suo maestro, ma arriva a sintesi originali e ad altri orizzonti nella cura. Marie Rose Moro a sua volta sviluppa, soprattutto nel campo della cura delle famiglie e degli adolescenti, uno sguardo innovativo nella etnoclinica. Proveremo a conoscere e seguire questi maestri attraverso i loro testi principali.
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Si affronterà il tema del trauma intenzionale in contesti migratori, in particolare nei luoghi deputati all’accoglienza di rifugiati. Si rifletterà insieme su come gli effetti del trauma possano contaminare le relazioni tra operatori dell’accoglienza e accolti e dell’importanza di riconoscere il substrato personale, politico e archetipico alla base di queste relazioni. Verrà condiviso il lavoro di presa in carico psicologica di un nucleo familiare all’interno di un setting creato ad hoc in un centro di seconda accoglienza, analizzandolo a diversi livelli, dalla prospettiva della psicologa e da quella del mediatore linguistico-culturale.
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Nell’esperienza delle consultazioni svolte a Verona da Metis Africa nel tempo si è affermato un approccio che coniuga i metodi della scuola francese del Centro G. Devereux di Parigi (con T. Nathan e N. Zajde quali principali capisaldi) con il pensiero della psicologia analitica. Jung spazia fin nei suoi primi scritti con spunti, riflessioni e confronti in varie culture non solo europee e così anche M.-L. von Franz approfondisce i contributi che vengono ad esempio dalla cultura orientale e cinese in particolare. “Se non mettiamo in discussione i pregiudizi di fondo della nostra civiltà, non riusciremo mai a comunicare con altre civiltà”, scrive von Franz, e Jung nel 1939 parla di come risanare una donna affranta dal panico ricongiungendola alle radici religiose della sua origine; lo studio della proiezione inoltre deriva dalla relazione del soldato nigeriano Oji con l’albero che porta il suo nome e che può chiamarlo a sé. In questo incontro si affrontano le convergenze degli sguardi a partire dalla clinica trattata nelle consultazioni.
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Testi fondamentali per poter comprendere le differenze tra le varie forme di coscienza, di civiltà e di cura sono quelli offerti dall’etnologo franco-algerino Jean Servier, che ha compiuto un singolare itinerario di ricerca e di studi: dalla traduzione del De Magiadi Cornelio Agrippa è passato a studiare e interagire con molte culture altre, di cui ci offre ampie prospettive. Infine è approdato a Eranos, dove ha potuto incontrare l’ultima tappa di un coerente cammino. I suoi interessi coincidono in modo soprendente con le tappe della nostra formazione, e la arricchiscono.
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Illustrerò il tema con l’aiuto di esempi di casi seguiti nelle consultazione di etnopsichiatria del Centre Devereux di Parigi.
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Di cosa si sostanzia la pratica terapeutica? Dalle medicine tradizionali impariamo, accanto al valore degli esseri, degli antenati e delle presenze, il valore delle “cose”: degli oggetti attivi, dei feticci, degli amuleti, che tuttora fanno parte delle pratiche di guarigione e dimostrano la loro efficacia.
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Dopo la formazione specifica rivolta alle tematiche etnocliniche, questi moduli sono l’occasione di un laboratorio attivo su casi particolari da affrontare in maniera condivisa.
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