tesi diplomati (in allestimento)

Lenti Fabio
I colori dell'anima
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L’incontro con l’Anima per l’uomo è sfaccettato, ricco e complesso a causa dell’intrinseca natura di questo elemento psichico di essere inconscio, pervasivo, abissale e intrecciato alla vita stessa. La sua vastità e complessità mette in contatto l’individuo con innumerevoli fattori, sensazioni e intuizioni del proprio psichismo profondo. L’entrata in relazione e la scoperta delle caratteristiche della propria Anima per l’uomo è quindi un incontro, una conoscenza e un rapporto intriso di mistero e complessità. Marie- Louise von Franz ne L’uomo e i suoi Simboli scrive che “l’Anima è la personificazione di tutte le tendenze psicologiche femminili della psiche dell’uomo, cioè sentimenti e atteggiamenti vaghi e imprecisi, presentimenti, la ricettività dell’irrazionale, l’amore di sé, il sentimento della natura, e l’atteggiamento nei confronti dell’inconscio” (p. 163). Jung, nel testo Sull’Archetipo con particolare riguardo al concetto di Anima sottolinea ancora che “L’Anima è un fattore di massima importanza nella psicologia maschile, ovunque intervengano emozioni e affetti. Essa rafforza, esagera e mitizza tutti i rapporti emotivi con la professione e con le persone di entrambi i sessi. La trama fantastica che li sottende è opera sua.”. Si capisce da queste parole quanto l’attivazione dell’Anima nell’uomo può essere fonte centrale di energia emotiva, di chiavi di lettura e interpretazioni affettive dei vissuti. Conoscere le sue attivazioni, “la sua voce”, la sua sensibilità è un lavoro necessario al fine di evitarne un totale e inconsapevole impossessamento. Tuttavia, bisogna sottolineare che nella relazione dell’uomo con la sua Anima troviamo intrecciati il tema del complesso materno, dell’incontro con l’Ombra, la relazione con l’Anima stessa in un crescendo di profondità e sacralità di questi elementi, via via sempre più legati alle dimensioni di inconscio collettivo fino ad arrivare alle dimensioni dell’Archetipo della madre. Vi è un legame viscerale tra l’Anima dell’uomo e la relazione con la propria madre, il complesso materno e infine con l’archetipo della madre. C’è quindi un intreccio significativo di elementi, che è necessario provare un poco a discriminare al fine di tentare, se mai fosse possibile, di delineare con maggiore chiarezza le componenti presenti nel rapporto con essa. Nel testo Simboli della trasformazione Jung spiega l’intrecciarsi di rappresentazioni legate al concetto di Anima. Egli dice che l’aveva definita come “archetipo della vita” e che essa personifica l’inconscio stesso nella sua totalità fino a quando essa non viene differenziata dagli altri archetipi. È quindi necessario poter discriminare (pur essendo un compito delicato e molto complesso) gli elementi che si incontrano durante il percorso di conoscenza del proprio mondo interno e della propria Anima. Un percorso terapeutico che richiede una grande attenzione da parte del terapeuta nell’aiutare la persona a incontrare, conoscere e riconoscere i vari elementi e le varie sfumature. Il percorso di contatto con il proprio mondo interno e con l’inconscio porta l’uomo a contatto con la sua Anima. Come detto da Jung in Sull’Archetipo con particolare riguardo al concetto di Anima essa ha la potenza di rendere l’uomo emotivamente “suscettibile, eccitabile, lunatico, geloso, vanitoso e disadattato” (pag. 73) permea il suo sentire e il suo agire. Il contatto con essa se inconsapevole può essere fonte di profondo turbamento e malessere. In questo lavoro ci si sofferma e si approfondisce ulteriormente le caratteristiche di questa inquietudine. In particolar modo nella coloritura emotiva che ha per l’uomo entrare in contatto con la propria Anima. Negli anni e nella mia esperienza clinica, questa idea mi ha accompagnato più in forma di Sentimento, andando via via delineandosi. Da qui nasce l’idea di questo lavoro, di questa tesi. Per ragioni prettamente formali e di delimitazione, tratterò qui solo l’aspetto che riguarda il rapporto dell’uomo con la propria madre e le conseguenti ricadute sull’Anima. Potremmo ipotizzare che, seppur in forme che si delineano in sistemi differenti, possiamo trovare un processo analogo nel rapporto che la donna instaura con il proprio Animus. Sin dall’inizio del mio percorso come co-conduttore nei gruppi di analisi dal 2008 e nella pratica terapeutica con i miei pazienti, ho da tempo sentito crescere e muoversi in me la percezione che i soggetti con i quali avevo il privilegio di poter lavorare, fossero sempre accompagnati nel loro modo di porsi nella vita, da un “colore” personale e individuale, da un “rumore di fondo”, che permeava gli stati emotivi e i pensieri nel relazionarsi con la propria dimensione profonda, con la propria Anima. In questo lavoro si è cercato di circoscrivere questa tematica legata alla caratteristica, “all’aura” che permea la relazione dei soggetti con la propria dimensione d’Anima.



Leuzzi Mariantonietta 
La Natura (é) più grande di noi.
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Facendo riferimento ai due grandi ispiratori della psicologia analitica, Carl Gustav Jung e Marie-Louise von Franz la tesi racconta della Natura, una natura che a volte si manifesta in modo crudele, ma che può rivelarsi trasformativo. Nella tesi si prendono in esame numerose riflessioni teoriche insieme alla narrazione del caso di un paziente con diagnosi di schizofrenia paranoide, che ha avuto il grande merito di accompagnare il terapeuta nell’esplorazione di alcuni aspetti complessi e disordinati della psiche e, al tempo stesso molto ricchi e interessanti.

Attraverso le proprie storie, terapeuta e paziente, possono scoprire un terreno comune e fare esperienza di qualcosa di diverso. Si parla essenzialmente di una ricerca di equilibrio tra opposti, sempre da rifare, tra conscio e inconscio, tra femminile e maschile, tra istinto e spirito, tra eros e logos, tra materia e natura. Toccando temi quali la solitudine, la morte, la sofferenza, il limite, si è cercato di ricostruire un legame con la natura, fuori e dentro. Da una parte c’è la storia del terapeuta quasi scritta tra le righe, e dall’altra il racconto di chi, davanti a un bivio, ha preso la via della frammentazione. Vengono riportati i disegni e i sogni del paziente, accompagnati da un breve commento interpretativo.

L’ipotesi è che si possa vivere la ferita come porta d’accesso per un rinnovamento, se si ha coraggio, oppure si può scappare e rifugiarsi nella paura. Si arriva alla riflessione che un processo individuativo passi necessariamente attraverso la relazione con la propria inferiorità psichica, con il proprio nucleo psicotico.

Quando l’Io entra in contatto con la propria parte più malata scopre qualcosa che è dell’ordine del limite assoluto: la “non curabilità”, ma è di fronte all’impossibile che si attiva qualcos’altro. Così tocchiamo la nostra impotenza e scopriamo persino l’aspetto nefasto dell’ideale di perfezione che lascia via quello che non è perfettibile, mentre è proprio ciò che ci rende completi.



Marchesi Anna
La solitudine: Tenebra e ricerca del luogo della vita interiore.
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La solitudine è un vissuto che accomuna tutti gli esseri umani, ma vi sono differenze nella frequenza e nell’intensità con cui si presenta nei singoli individui. Ogni esperienza di solitudine, in quanto esperienza interiore, ha una sua peculiarità psicologica fatta di sensazioni, dinamiche psichiche e vissuti interni.

È possibile quindi parlare di differenze nelle reazioni soggettive alla solitudine e nel valore attribuito alle esperienze che riguardano i rapporti umani, rispetto al valore attribuito a ciò che succede quando si è soli. Ho indagato quindi cosa faccia sì che alcune persone riescano a vivere serenamente i momenti di solitudine e a goderne, mentre per altri siano fonte di sofferenza e angoscia.

Tema centrale della tesi è come venga affrontato il sentimento di solitudine dagli individui nel suo doppio aspetto di solitudine vissuta negativamente, come sofferenza e isolamento, e solitudine vissuta positivamente, come momento di conoscenza interiore e possibilità creativa. Questi elementi possono essere paragonati alla fase alchemica della Nigredo, caratterizzata da oscurità e amarezza, e alla fase successiva di rinascita e creatività dell’Albedo, intesa come momento di verità interiore e saggezza.

Tale passaggio trasformativo può essere letto come l’intervento di un archetipo, l’archetipo del Vecchio Saggio, che si esprime nel suo polo negativo caratterizzato da depressione, stagnazione e pesantezza, o nel suo polo positivo caratterizzato invece da saggezza e spiritualità.

Ho affrontato quindi questo lavoro di ricerca come tentativo di sviluppare un percorso che muovesse dalla paura della solitudine al suo desiderio, dalla Tenebra, termine utilizzato da Jung nel Libro Rosso, alla ricerca di un luogo di vita interiore, al fine di riuscire a tenere dentro e conciliare entrambi gli aspetti, in una costante ricerca di senso.

Ho approfondito la tematica prendendo in esame alcune figure della solitudine come quelle di viandanti e pellegrini, viaggiatori e cercatori erranti, con particolare riferimento alla storia di Siddharta, narrata nel romanzo di Hermann Hesse, e di Jung stesso, che per tutta la vita si è confrontato con la propria solitudine interiore, così come si evince dalla sua autobiografia.

Ho inserito all’interno del testo alcuni brani scritti dai partecipanti al Laboratorio di scrittura creativa del centro dove ho svolto il mio tirocinio, per esplorare il vissuto di solitudine legato all’esperienza psicotica, depressiva, maniacale o schizofrenica.

L’ultimo capitolo infine è dedicato all’analisi della figura del Vecchio Saggio all’interno di un percorso di Sandplay Therapy.

 

 



Minella Gianluca
"Oh mio Dio! ...È pieno di stelle". Perdita, morte e trasformazione. Itinerari, riflessioni ed esperienze cliniche al confine.
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“Morire si ma non essere aggrediti dalla morte” canta il verso iniziale di una splendida poesia di Vincenzo Cardarelli. Questa sensazione di aggressione è di solito l’esperienza dell’Io quando deve confrontarsi con la morte. Il rapporto con la morte tuttavia è un’esigenza fondamentale che appartiene all’ontologia, all’essere più profondo che è in noi. Non c’è cultura, civiltà, stagione dell’uomo, in cui questa esigenza non si manifesti. Maria-Louise von Franz ci ricorda che è un’esigenza archetipica scritta in noi dagli albori dell’umanità. Cosa ci impedisce, oggi più che mai, di entrare in relazione con la morte? Jung racconta di aver meditato sulla morte tutti i giorni, a partire dall’età di 35 anni. La tradizione orientale insegna che la contemplazione della morte è la più nobile di tutte le contemplazioni perché è come l’impronta dell’elefante: le impronte di tutti gli altri animali ci entrano dentro. Da Freud a Jung, attraverso il gioco, l’arte, il mito e soprattutto l’esperienza clinica del lutto, seguiremo tracce di quel viaggio evolutivo che l’Io intraprende orientandosi verso la stella del Sé, l’itinerario del percorso psicologico dell’individuazione, quel  processo di trasformazione che coinvolge la psiche in tutta la sua interezza e che in ultima analisi, come dice Hilman, è una vera e propria una preparazione alla morte. Fiduciosi che nella notte non troveremo solo fantasmi, ma splendore di costellazioni.



Negro Elena 
Il fantasma e la sua reincarnazione. Il percorso di Matteo.
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La storia narrata è quella di un giovane paziente, intrappolato nel sintomo somatopsichico della compulsione a strapparsi ciocche di capelli, in una dimensione legata al corporeo ed all’arcaico registro del piacere e del dolore. Si tratta di un’area insimbolizzabile ed impensabile: rimanda alle antiche radici del rapporto primario ed a quell’insieme di ipotesi e significati mancati e non integrati che giungono dal materno, i quali conferiscono tridimensionalità all’esperienza immediata e non mediata del bambino.
Le immagini simboliche che sono emerse attraverso il gioco, come una sequenza di sogni, mettono in scena la complessità di un mondo interiore che fatica a trovare la propria forma nella vita. Ed è nel gioco che la sensorialità pura, unico mezzo di espressione di contenuti non ancora psichicizzati, incontra il suo opposto: il fantasma. Come spirito, complesso autonomo, testimone di una devitalizzazione ma speranza di rientrare nella dimensione umana perduta, il fantasma può essere guardato ed afferrato, compreso, per così animarsi e divenire un interlocutore.

Alienarsi nell’esperienza sensoriale protegge dal pensare e dal sentire. Ma, attraverso la dinamica tra le opposizioni, la coscienza può cominciare a conoscere e conoscersi, trovare la propria misura, e sperimentare di poter sentire psichicamente.



Pepe Giusi
L’Uomo interiore della Donna. Dall’Animus negativo all’Animus positivo e lo sviluppo del Femminile.
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Il riconoscimento e il funzionamento del maschile interiore nella donna, a partire dalla scoperta di C.G. Jung circa l’esistenza di una componente femminile nell’inconscio dell’uomo e di una componente maschile dell’inconscio della donna; a cui darà il nome, rispettivamente di Anima e Animus. E così che per la prima volta, la donna viene ad essere collocata su un piano di parità con l’uomo e, il suo essere diversa da lui non rischia più di venir interpretata come un’inferiorità costituzionale, che sottende dipendenza ed incapacità di autonomia. Viene preso in esame il caso clinico di una donna, in modo da poter osservare questa componente maschile in azione, attraverso il percorso psicologico, il materiale onirico e grafico. Si prendono poi in esame alcune fiabe, espressioni dell’inconscio collettivo, per comprendere più da più vicino e, in modo personificato e non contaminato dall’inconscio personale, il presentarsi delle varie forme dell’Animus nella donna. A questo punto, viene trattato il processo di trasformazione da Animus negativo ad Animus positivo, da complesso psichico parzialmente autonomo che si proietta all’esterno a funzione psichica rivolta all’interno; da predatore della psiche femminile a guida spirituale della donna. In conclusione, viene descritto uno schizzo della totalità del cammino evolutivo femminile.



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